La notizia era nell’aria e poco fa è divenuta ufficiale: Stefano Pioli ha rinunciato alla panchina del club saudita dell’Al-Ittihad. Nessuna avventura in terra araba dunque per l’ex tecnico rossonero, il quale dopo ore bollenti per tutto ciò che aleggiava sulla sua persona ha deciso di dire “no grazie” prima ancora di iniziare, rinunciando così ad un ingaggio faraonico da ben 16 milioni di euro a stagione. Una decisione difficile che però è il frutto di una gestione economico sportiva del tutto scellerata da parte dei sauditi; da un lato l’insorgenza di alcune problematiche nella definizione dei dettagli del contratto, mentre dall’altro il clamoroso veto di Karim Benzema, il quale si sarebbe opposto all’arrivo di Pioli per dirottare il club verso la pista che conduce a Christophe Galtier, ex allenatore del Psg, francese e amico dello stesso attaccante.
Una situazione spiacevole nei confronti di un professionista come Stefano che getta ancor di più le ombre su un sistema calcio, quello arabo, sicuramente attraente per gli stipendi, meno per la progettualità sportiva. Un mondo nel quale, come dimostrato da questa vicenda, le società sembrano tenute al guinzaglio dai giocatori, con l’aggravante, nel caso dell’Al-Ittihad, che ha portato addirittura alle dimissioni del presidente Laoy Nazer, colpevole insieme al direttore sportivo Ramon Planes di aver già chiuso l’accordo con Pioli. E adesso la palla passerà direttamente al Ministero dello Sport in persona che dovrà decidere se accettare o meno tali dimissioni.
Indipendentemente da come finirà la storia, il caso Pioli conferma ancora di più il fallimento del calcio arabo e getta un pizzico di serenità sull’avvenire del calcio mondiale. Perché, piaccia o non piaccia, il futuro è in Europa e la speranza è che adesso lo abbia capito pure Pioli.